La Colonia felice: utopia lirica (terza edizione)
mare, che si fondèa nel firmamento spolverizzato di stelle: - Babbo - dicèa in tuono accarezzante qual àlito di primavera - di là di quel mare che c'è
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quelle selve, che avèano forse addensato su di essi e i loro delitti una fedele ombra; nè più scorgèvano nelle vacue catene che rivarcàvano il mare a
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. Pressava dunque di provvedere al presente, dai campi del cielo mietendo, e al futuro, da quelli del mare. Reti e saette si altèrnano senza riposo. E l'anno
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Altìssimo il sole. Scintillava dovunque un aureo polverìo, e parèa il mar rutilante, non aqua, ma un mare tutto di luce. E, d'ogni parte, gente
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vento, il mare è grosso, è inquieto, è nero come l'inchiostro. Nel lamentoso suo ruotolarsi alla spiaggia, senti come echeggiare fioca la voce delle
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uscirete dall'ìsola mai. Per voi, le sue dense foreste crèscono inùtili al mare. Era già responsale lo Stato della punizione vostra: lo è oggi, del Suo
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additando violentemente sè: io l'infame! - sclamò - io il vile! - Ma, pochi dì poi - mare e cielo infuriati - fu, quell'infame e quel vile veduto a
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d'orgoglio. Ed ecco, diradàndosi la pineta, sciorinàrglisi al guardo, da lunge, gli azzurri deserti del mare; da presso, le carbonchiose vestigia
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porpuree. Nell'immòbile mare, non più bastimento; solo, da lungi, il biancheggiar di una vela. Il Beccajo si guardò a lato. Èragli a lato la Nera